28 Décembre 2005
29.10.2003 - Un concerto per celebrare la periferia da abbattere LE periferie sono tutte eguali? Milano, Roma, Torino, la stessa interminabile teoria di palazzoni, la stessa polvere, lo stesso smog. La stessa disperazione o la rassegnazione. Ma anche la voglia di riscatto. Diversa è la gente che ci abita, a ogni latitudine. Perchè basta lo scarto di una generazione e il mondo cambia. Anni ‘60, via Artom. Le torri servivano ad accogliere la classe operaia che ha poi cambiato il volto di questo paese. Adesso gli operai di allora fanno i pensionati, i figli sono cresciuti e se ne sono andati via. Le nuove famiglie fanno parte di un altrove che oggi nessuno riesce più a definire con la matematica precisione, che non ammetteva appello, dei sociologhi degli anni ‘70, quelli della scuola di Trento. Ci sono pure i nomadi, che non lo sono più, le coppie mono reddito, i nuovi e i vecchi poveri, quelli che ricchi non lo sono diventati mai, alla faccia del boom e dei consumi di massa. A Bagnoli c’era l’Italsider e i ragazzi napoletani giocavano a pallone nello stesso cortile con i coetanei veneti o lombardi. A Torino la Fiat era una Babele di dialetti. Scambi velocissimi di culture e di ogni cosa. «Come l’università - dice Edoardo Bennato, che è un architetto e che ora parla di conflitti sociali che si snodano in periferie che hanno pure qualcosa di maestoso e anche di terribile - in modo che io, quando volevo andare in città, dicevo alla mamma “vado a Napoli”...Guardavamo alla napoletanità con un certo distacco. Con ironia. Noi avevamo già visto altro». Bennato sarà il testimonial della nuova via Artom fortemente voluta dal Comune di Torino. Stasera, alle 20,30, il cantante terrà un concerto gratuito al parco Colonnetti, davanti alle due torri rosso sangue che saranno presto abbattute. La periferia non è solo male. Ma insegna a vivere e a convivere. Bisogna avere un’infinita pazienza, una santa tolleranza, per sopportare ogni giorno il rumore che passa trionfante dalle tramezze sottili come fogli di carta. Ad amare, anche. Ce lo racconta Gaetano Littarello. La torre di via Artom è lì, clinicamente morta. Sui muri sono scanditi gli scudetti della Juve, stratificazioni geologiche, coppe, scudetti e campioni già in archivio. Guarda in su e spiega che ci ha abitato 33 anni: «Non mi sono mai trovato male, anche quando c’era la malavita. Da qui io non me ne vado, anche adesso che sono rimasto solo, senza i figli». Patria diversa e simile in tutto l’Occidente. Da Glasgow a Parigi, passando per Londra e le città del Nord più profondo. Eguali? «No, non proprio eguali - riflette Bennato - Perchè ogni città esprime una realtà sociale differente; a volte c’è un incrocio. A volte no. Ho visto le periferie di Rio de Janeiro, ad ogni altitudine un colore nuovo. Facce e case. Adesso c’è come una voglia di rinascere, di creare qualcosa». E l’assessore Roberto Tricarico: «Non volevamo un artista qualsiasi ma un amico di chi, in questi quartieri, ci vive, ci vuole restare. Bennato lo è davvero, un amico. Noi vorremmo che oltre ai suoi fans, venissero soprattutto le famiglie di via fratelli Garrone, via Monastir...Così sarebbe un vero successo, non solo un concerto». Già le canzonette. Bennato: «Come mi piace definirle, qualche volta. Però con le canzoni si riescono ad esprimere concetti profondi, in modo non cattedratico, senza voler insegnare a tutti i costi. La musica è semplice». Via Artom. Leonardo abita nella stessa casa dal gennaio 1969, ha cresciuto due figli in questo quartiere e anche lui non se ne andrà mai: «All’inizio sì, è stata difficile. C’erano i fumi delle fabbriche che avvelenavano l’aria, poi è arrivata la droga. Adesso le siringhe sono rarissime. Va meglio». Va bene, restano gli scheletri degli scooter rubati, sotto le finestre dei casermoni ci sono discariche di rifiuti. Nei parcheggi resistono da anni antiche Ritmo senza ruote o le carcasse di auto bruciate chissà quando. Però un ragazzo, che si chiama Simone Pastorino, sta trasformando il grosso gabbiotto di ferro grigio e rugginoso del cantiere in una specie di fumetto colorato, in uno specchio dove si riflettono le vecchie torri ristrutturate e dove appaiono, miracolo, i nuovi giardini che prenderanno il posto di quelle abbattute. «Molti si fermano per guardare il mio lavoro - spiega, seduto su una cassetta di plastica, a fianco i pennelli e colori - e mi dicono che è bello, il disegno». I vetri dei palazzi dipinti sono sembrano lucidi, il cielo è azzurro saturo, c’è il sole e un operaio con una tuta aereonautica è come sospeso nel vuoto, in bilico sulle impalcature altissime. «Mi avevano detto di dipingerlo come volevo, ho cercato di riprodurre le stesse case che mi circondano». Forse c’è riuscito davvero. Francesco è arrivato in bicicletta e si ferma vicino a Simone. «Da 27 anni a Torino da Reggio Calabria, per andare a lavorare in Fiat. La mia casa era lì, quarto piano. C’è ancora la mia tenda verde. Voglio restare nel quartiere, mi piacerebbe corso Traiano o i dintorni. Rimpianti? E come no. Sa cosa rimpiango? La giovinezza. Allora in via Artom mia moglie e io abbiamo avuto la prima e unica casa. Mia moglie aveva 19 anni, io 21 e la lettera di assunzione in tasca». A questi signori di via Artom, molto distante da qui, dal grande atrio del Turin Palace, tra stucchi e tappeti, l’assessore Tricarico - in compagnia del sindaco di Glasgow, la signora Lizz Cameron e il vicesindaco di Parigi, Pierre Mansat - vorrebbe spiegare cosa ha in mente. «Intanto Torino ha già compiuto un passo in avanti rispetto ad altre metropoli italiane e non solo. Negli anni lontani s’era cercato di costruire le periferie come un raccordo del centro, senza creare una frattura netta, mentre in altre realtà s’è invece voluto emarginare, allontanare il proletariato, le fasce più deboli della società. Torino è diversa. Le città della cintura non solo non sono state assorbite ma hanno mantenuto e valorizzato le loro singole specificità. E’ un dato da considerare, questo». Nascondere i problemi? «Non servirebbe a nulla. Siamo di fronte a una svolta perchè sono stati investiti in questi progetti, diffusi in tutta la città, 500 milioni di euro, da San Salvario a Porta Palazzo, che è un modo ancora diverso di affrontare la diversità. La risposta vera, alla fine è questa». Massimo Numa